Intervista a Fabrizio Carcano
- Febbraio 8, 2019
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- Marika
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Ciao Fabrizio, benvenuto.
Grazie
Una domanda insolita: raccontaci chi non sei.
Uhm… tante cose. Non sono bello (si vede), non sono magro, non sono nemmeno troppo simpatico. Non sono però nemmeno antipatico anche se sto sulle scatole a parecchi… non sono un tipo speciale, non sono uno che ama il sushi, non sono uno che sa fare tante cose (anzi ne so fare pochine), non sono un personaggio che ama remare nella direzione più semplice e comune, non sono uno facilmente catalogabile. E non sono uno da portare a riunioni con cacciatori o vivisezionisti: rischio di scatenare una rissa con chiunque faccia del male ad un animale. Aggiungo che non sono juventino!
News of Tales nasce dall’idea di scrivere notizie dalla fantasia degli scrittori per raccontare un breve tratto del libro e proporlo ai lettori; le tue storie nascono dalla realtà quotidiana quindi, quanto conta per te il mondo reale nella scrittura?
La realtà mi regala la spina dorsale della storia, i personaggi sono tratteggiati dalla realtà. Non sono uno di grande fantasia, per cui assimilo quello che vedo o che sento e lo riciclo nelle mie trame gialle. Per cui il mondo reale per me conta tantissimo, anche se poi nelle mie trame, non scrivendo di criminalità o ambienti della droga, racconto sempre una realtà parallela, quella di persone legate a misteri o ossessioni religiose o esoteriche. Persone che esistono nella realtà, credetemi.
Sei un giornalista de Il Giorno, quindi della scrittura ne hai fatto un lavoro. Quando, e come, è nata questa passione per lo scrivere?
Credo che la scrittura sia la mia vocazione, che ho trasformato in una passione e in una professione a 360 gradi, perché in qualche modo l’unica cosa che mi piace fare e che so fare decentemente nella vita. Ho iniziato a fare il giornalista a 18 anni e oggi, dopo 27 anni, sono il corrispondente del quotidiano Il Giorno per l’Atalanta e una firma del periodico Superbasket, mentre per Affari Italiani curo una rubrica fissa dal titolo ‘Cold case Lombardia’ dedicata ai delitti irrisolti in Lombardia.
Mentre la passione che mi ha portato a cimentarmi nella narrativa è arrivata intorno ai 35 anni, dunque dopo una lunga esperienza giornalistica.
Hai all’attivo otto libri… qual è il tuo preferito?
Veramente sono nove, otto con il commissario Ardigò e poi c’è il nono, anzi il settimo: Il Mostro di Milano, con il commissario Maspero, ambientato tra il 1969 e il 1971, basato su una storia vera. Quella degli 11 delitti insoluti compiuti in quel periodo a Milano da un misterioso serial killer mai identificato che uccise almeno 11 donne, tutte con grandinate di 30-40 coltellate. È senza dubbio il mio libro migliore, il più completo e maturo, per cui è il mio preferito. Anche se per i miei lettori il mio libro migliore resta il primo: Gli Angeli di Lucifero, il libro che nel 2011 mi ha fatto conoscere al pubblico.
E quello che ti ha fatto penare di più?
Diversi, ma torno al Mostro di Milano. Scrivere di un periodo in cui non ero nato, raccontare una Milano che non ho visto, ambientare e collocare la storia di quegli veri 11 delitti irrisolti in quel contesto politico: la bomba di piazza Fontana, la morte di Pinelli e Calabresi, la violenza politica e criminale di quella Milano. È stato veramente difficile. Il mio libro più complicato.
Raccontaci di loro…
Qualcuno potrebbe dire che sono gialli tutti simili. Tutti ambientati a Milano, sempre con questo malmostoso e scomodo protagonista il commissario Ardigò, personaggio complicato e difficile. Uno politicamente scorretto, un milanese imbruttito.
Che negli anni ha conquistato decine di migliaia di lettori. È un personaggio in evoluzione, perché nel romanzo di esordio, Gli Angeli di Lucifero, è un 35enne, mentre nell’ultimo ha 44 anni, con una crescita biografica e generazionale. Tutti i miei romanzi sono indissolubilmente legati a Milano, quasi morbosamente aggiungo. E ovviamente di libro in libro cambia Milano, da quella del 2009 a quella attuale. Ho iniziato a scrivere noir e continuo a scriverli per sviscerare e far conoscere la bellezza nascosta di Milano, quella legata alla sua arte, alla sta storia, alle sue basiliche e a personaggi come Leonardo da Vinci. Fino a quel momento non avrei mai immaginato di scrivere un libro anche se ogni volta che leggevo un giallo italiano mi domandavo se sarei stato capace di fare altrettanto. Le mie trame sono quasi sempre legate all’esoterismo e all’occulto, spesso celati dietro l’arte. Da qui l’accostamento a Dan Brown, anche se nel caso del mio ultimo noir, Il Codice di Giuda, un giallo milanese incentrato sui contenuti del Vangelo aprocrifo attribuito a Giuda Iscariota – un testo che ribalta la figura di Giuda descrivendo come il discepolo più fedele di Gesù tanto da accontentare la sua richiesta di consegnarlo ai romani per farli diventare il redentore, ben sapendo di andare incontro ad una dannazione eterna – il titolo richiama il Codice Da Vinci ma la trama e l’impianto ricordano più la trilogia romana di Donato Carrisi
Tu scrivi per i tuoi lettori o sono i tuoi lettori che ti invogliano a scrivere?
Bella domanda alla Marzullo. Sicuramente scrivo per i lettori, per il piacere di essere letto, per l’illusione di poter trasmettere emozioni, di immaginare qualcuno che esce apposta e va in libreria perché vuole il mio libro. Fa paura solo a pensarci. Poi è chiaro che ricevo migliaia di mail o messaggi che mi spronano a scrivere, innescando un circuito virtuoso, per cui vai in astinenza da tastiera appena stacchi la spina.
Scrivi per vivere o vivi per scrivere?
Altra domanda marzulliana. Il problema è che la scrittura è il mio lavoro. Diciamo che scrivo per vivere perché davvero nella vita non so fare altro. Mi piace, mi riesce, mi viene bene. E regala un senso alla mia vita vuota. Se non avessi delle partite da seguire come giornalista e dei libri da scrivere il tempo si dilaterebbe e non saprei come riempirlo.
Qual è il tuo autore preferito?
Sono uno scrittore di noir ma come lettore amo spaziare nel thriller storico o archeologico. E questo influenza anche la mia scrittura. Anche se ovviamente, per aggiornamento professionale e per ‘allenamento’, mi ritrovo a leggere circa 40 gialli l’anno. Paradossalmente anche se mi hanno etichettato come il Dan Brown milanese il mio scrittore preferito è Valerio Massimo Manfredi. È chiaro che i miei primi due romanzi, scritti nel 2010 e 2011, risentirono dell’onda lunga di Dan Brown. Ma ho sempre trovato ispirazione nei libri di Michele Giuttari e Donato Carrisi e ultimamente in scrittori che in un noir sanno regalare sentimenti e nostalgia come Piero Colaprico e Roberto Perrone
Cosa vorresti dire ai lettori che si approcciano per la prima volta alle lettura dei tuoi libri?
Intanto sempre a tutti dico di concedermi una trentina di pagine prima di giudicarmi, nel senso che non sono uno che parte fortissimo, i miei libri sono un diesel, carburano dopo un po’ di paginette. Per il resto non saprei, perché per me aprire un libro, da lettore, è come entrare in casa di altri: ci sono odori, luci, sensazioni altrui, che devi fare tue. Per cui io stesso approccio sempre con cautela gli scrittori che non conosco. Però a chi ha voglia di conoscermi dico che vi racconto storie credibili e vi faccio conoscere una Milano vista in maniera diversa, dai marciapiedi, calpestandone l’asfalto intriso di smog. E che in genere creo dipendenza: quasi tutti quelli che mi leggono una prima volta poi non smettono più. Per cui se avete già altre dipendenze non iniziate a leggermi, non diventate Carcano-dipendenti!
Grazie Fabrizio per il tempo che ci hai dedicato e… buona vita.
Grazie a voi, alla prossima.